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Milano Finanza 24/09/2016


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Quando il pil dice poco

Molti economisti dicono che la crescita si è affievolita anche perché le imprese non investono. Ma un campione casuale di bilanci di pmi racconta una storia diversa. E non è stato certo merito delle banche

L’Istat ha recentemente confermato il sostanziale arresto del debole percorso di crescita dell’economia italiana. Il pil non cresce e le parti litigano sul valore delle seconde cifre decimali facendo infuriare chi, senza ricordare che ogni variazione dello 0,1% del prodotto interno lordo vale circa 1,5 miliardi di euro, ritiene il dialogo privo di senso e vorrebbe si discutesse di crescite ben più significative. Se da un lato la spesa delle famiglie sembra in aumento, le ultime analisi mostrate in questi giorni dimostrerebbero che la bassa crescita del pil sia dovuta a una contrazione degli investimenti delle imprese.

Ma è proprio così? Per verificare l’effettiva propensione agli investimenti delle imprese italiane, con l’aiuto di Leanus, società specializzata nella raccolta dei dati e nell’analisi di bilancio, è stato selezionato un campione casuale di 2.836 imprese italiane con fatturato compreso tra 20 e 100 milioni di euro. Si tratta di imprese che operano in tutti i settori (servizi, commercio, industria) e sono distribuite su tutto il territorio nazionale. Complessivamente il campione di imprese ha generato ricavi nel 2015 per 113 miliardi di euro, pari all’1,7% del pil. Un campione importante dell’economia italiana, quindi, che è stato utilizzato per verificare la coerenza tra i dati presentati a livello aggregato e quelli che fanno registrare i singoli operatori.

a) Quanto e dove hanno investito?
Nel 2015 le imprese selezionate hanno investito circa 4 miliardi di euro, quasi un miliardo in più dell’anno precedente portando il valore complessivo degli investimenti netti a 37,9 miliardi, in crescita del 2,1% rispetto al periodo precedente. Un dato molto significativo e che va in direzione opposta al dato complessivo del sistema Italia. Altro elemento degno di nota (vedi grafico allegato) riguarda la tipologia degli investimenti. Se gli ultimi anni, infatti, hanno fatto registrare un incremento delle immobilizzazioni immateriali, il 2015 ha invece messo in evidenza il ritorno agli investimenti in beni materiali (immobili, terreni, macchinari per la produzione), per un valore superiore a 24 miliardi nel 2015 e in crescita del 2,5%.

b) Perché investono di più?
A giudicare dal campione, quindi, sembra che le imprese la loro parte l’abbiamo fatta e che continuino a farla, investendo, creando posti di lavoro ed erigendo, attraverso i continui investimenti produttivi, una barriera sempre più alta tra sé e i propri concorrenti. Come hanno fatto? Lo descrive la scheda di analisi realizzata da Leanus sui dati contabili aggregati del campione: le imprese selezionate presentano fatturati in crescita e buoni margini di profitto nonché una buona capacità di far fruttare gli investimenti, a tal punto da consentire al sistema imprenditoriale di intascare quasi 1 miliardo di euro di dividendi. L’azienda sana genera cassa che, se correttamente utilizzata anche per investimenti di medio lungo termine, consente di produrre risultati sufficienti a remunerare adeguatamente il rischio imprenditoriale.

c) Chi le ha aiutate a investire?
A quanto emerge dall’analisi del campione, il ruolo delle banche nella raccolta dei capitali da investire è stato marginale. A fronte di un aumento delle immobilizzazioni per più di 4 miliardi, l’incremento del debito è stato di poco superiore a 230 milioni di euro (pari al 5,75%). Un ruolo secondario quindi, che difficilmente può essere spiegato se non rilevando la difficoltà del sistema bancario nell’identificare i bisogni delle imprese e rendere operativo un sistema di offerta in grado di soddisfarli nei tempi e nei modi che un sistema imprenditoriale sano oggi richiede. (riproduzione riservata)

L’intera analisi è disponibile per gli utenti con profilo Premium su www.facciamoparlareibilanci.com

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