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Milano Finanza 23/10/2016


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I numeri lo certificano. E anche se non c’è da cantare vittoria si può iniziare a guardare con un maggior ottimismo al tessuto industriale italiano. Perché, il numero di fallimenti dichiarati dai tribunali del Paese è in calo di quasi il 3% nei primi sei mesi di quest’anno. Su questa stessa falsariga si muovono le procedure concorsuali non fallimentari, scese nel solo periodo aprile-giugno 2016 a 425 (-44% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente). E se ancora non si può dire che la crisi sia alle spalle e che il tema dello sbilancimento patrimoniale di parte del sistema produttivo nazionale sia stato risolto, si può intravedere uno spiraglio concreto di luce. Del resto, nessun imprenditore o manager avvia un piano di ristrutturazione senza prima averle tentate tutte. Avvertite le prime avvisaglie della crisi e della difficoltà di andare avanti, avvia ogni tentativo per invertire la rotta attraverso azioni ordinarie spesso accompagnate dalla speranza di vedere concretizzare piani e progetti che in alcuni casi si realizzano e in altri no. Solo in seguito, spesso troppo in ritardo, avvia un percorso di ristrutturazione guidato e organizzato e in parte reso necessario dal rischio di incorrere in azioni legali avanzate dai propri creditori.

Il piano di ristrutturazione assume cosi anche la funzione di protezione per manager e imprenditori. L’avvio di un percorso di ristrutturazione rappresenta comunque un momento molto doloroso della vita aziendale, spesso vissuto da imprenditori e manager con molto imbarazzo anche quando sono sicuri di aver messo in campo ogni risorsa personale e materiale per cercare di evitarla. Oltre alle implicazioni di carattere personale, la dichiarazione dello stato di crisi ha come effetto l’immediato aggravarsi delle difficoltà aziendali: i rapporti tra l’impresa e tutti gli interlocutori con cui essa opera peggiorano; banche e fornitori, in genere non credono nell’effettiva capacità dell’impresa di riuscire a ridurre i propri debiti e di tornare in bonis e cercano di incassare i propri crediti prima che l’eventuale avvio di una procedura non ne consenta la riscossione per via ordinaria, di essere costretti a rinunciare a parte del proprio credito e ad attendere la conclusione della procedura per riscuotere le misere percentuali generalmente riservate ai creditori chirografari.

Esclusi i casi di colpa o dolo, la crisi non è detto che possa essere evitata in quanto può dipendere da fattori esterni all’impresa o comunque non controllabili che l’impresa subisce. Imprenditori e manager possono invece fare tantissimo per cavalcarla e per traghettare l’impresa lontano dalle cause che hanno generato la crisi e ricreare le condizioni ideali per ristabilire i rapporti d’affari con il sistema.
Leanus, società specializzata nell’analisi finanziaria d’impresa, ha analizzato per Milano Finanza i bilanci 2015 di sei imprese dai nomi e dalle storie note che hanno avviato un piano di ristrutturazione. L’obiettivo è capire a che punto è il processo di rilancio e chi è vicino all’uscita dal tunnel. Si tratta di Giochi Preziosi (colosso del settore dei giocattoli), Infracom (tlc e Ict), Beghelli (illuminazione), Util Industries (stampi). Cuki Group (alluminio) e Limoni (profumeria)Imprese molto diverse tra loro per storia, settore merceologico e dimensione e che proprio per la loro diversità, confermano che dallo stato di crisi è possibile venire fuori.

È il caso di Giochi Preziosi e Infracom che generano cassa operativa a sufficienza da poter ripagare i debiti in un arco temporale inferiore a due-tre anni. Risultati importanti se si tiene conto che nel 2013 Giochi Preziosi faceva registrare una perdita di esercizio pari al 20.6% dei ricavi (-179 milioni di euro). Come mostrato nelle tabelle, l’azienda controllata da Enrico Preziosi assieme al socio cinese Ocean Global è cresciuta nel 2015 dell’1,5% e generato un ebitda pari al 4.2%. Nonostante la minima perdita (0.8%), grazie anche al suo livello di patrimonializzazione, mantiene un buon profilo economico, patrimoniale e finanziario.

Infracom, invece, nonostante la crescita e le ottime marginalità (margine ebitda al 25,7%) mostra un livello di indebitamento eccessivo (posizione finanziaria netta negativa per 76,7 milioni) rispetto al volume d’affari ma che, grazie all’elevato cash flow operativo (22,5 milioni), sembra poter rientrare dall’esposizione in due-tre anni.

Situazione opposta, invece, per Beghelli , l’unica quotata a Piazza Affari del lotto analizzato, che nonostante le buone marginalità (11,1%) e il giro d’affari in crescita (+12,67%) genera poco cash flow operativo (2,9 milioni), un valore eccessivamente ridotto considerata l’esposizione debitoria (pfn complessiva pari a 78 milioni su un fatturato di 168,1).

Anche Cuki Group, come Beghelli , ha un buon profilo economico (ebitda all’8,6%) ma un cash flow (4,7 milioni) non sufficiente per consentire un rapido rientro dalla situazione debitoria (90,4 milioni).

Util Industries cresce significativamente (+32,4%) e produce buone marginalità (ebitda al 6.5% dei ricavi e utile all’1%) ma non riesce ancora a generare cassa a sufficienza per supportare la crescita sostenuta. Tenendo conto che gli attuali tempi medi di incasso sono in media prossimi ai 90 giorni, c’è da aspettarsi un miglioramento del profilo finanziario dell’impresa in corrispondenza della stabilizzazione della crescita del fatturato. Le dotazioni patrimoniali dell’impresa, basse rispetto al volume d’affari e all’indebitamento, peggiorano il relativo profilo di rischio.
Sembra non aver cavalcato la crisi con un piano per ripartire la catena di profumerie Limoni, unico tra i sei casi analizzati, che a giudicare dai dati 2015 presenta ancora criticità irrisolte: ricavi -4,98%, ebitda -5,9%, perdita di esercizio pari a 9,7 milioni di euro su un fatturato complessivo di 221,6; i debiti finanziari sfiorano i 108 milioni (posizione finanziaria netta negativa per 76), pari al 49% dei ricavi, un valore non eccessivo, in relazione al volume d’affari, ma difficile da ripianare considerando il cash flow operativo (contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da un business retail) negativo per oltre 14 milioni di euro, 10 dei quali destinati al rimborso di finanziamenti soci. (riproduzione riservata)

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